giovedì 7 aprile 2011

Intervista a Maddalena Falletti


di Matteo Isipato ed Elisabetta Sciariada 


Oltre che un interessante elemento paesaggistico,gli orti urbani si rivelano anche un ampio tema di ricerca. Maddalena Falletti, dottoranda in Governo e Progettazione del Territorio presso il Politecnico di Milano, ne ha fatto il proprio argomento di tesi, e noi l’abbiamo incontrata per sapere qualcosa di più.
Maddalena, che cosa sono per te gli orti urbani oggi a Milano?
Sono luoghi di grande potenzialità, acclamati e contestati al tempo stesso. Gli orti sono presenti nelle città da sempre, ma la loro diffusione e visibilità sono cresciute esponenzialmente in tempi recenti. Nati a volte anche per caso, senza un progetto esplicito, sono spesso diventati importanti  per il paesaggio delle zone in cui si trovano.
Le loro potenzialità sono sfruttate in modo adeguato?
Dipende dai casi presi in esame. Le potenzialità degli orti sono legate alla loro capacità di produrre coesione sociale e alla possibilità di consolidare gli spazi aperti. Per quanto riguarda Milano, queste potenzialità non sono sfruttate appieno. Gli orti pubblici sono pochi, necessariamente ‘ghettizzanti’ e male allacciati alla città. Per questa ragione, probabilmente, Milano è diventata teatro di numerose soluzioni alternative, alcune estremamente creative. Molti esempi di orti informali, episodi di guerriglia gardening, orti legati ad associazioni, casi coltivazioni nei giardini e sui balconi possono fornire elementi utili per sviluppare nuovi progetti. 
Esiste una soluzione al problema della ghettizzazione?
Gli orti pubblici vengono spesso chiamati ‘orti per anziani’. Il motivo risiede nel principio di welfare che caratterizza i bandi di assegnazione, che privilegiano le categorie deboli. Il problema può essere risolto solo allargando l’offerta pubblica, oppure incentivando l’iniziativa spontanee di privati e associazioni, come avviene ad esempio in molte città francesi, tedesche e svizzere..
Cosa non può mancare all’interno di un orto urbano?
Innanzitutto la terra, di buona qualità, e l’acqua. Poi uno spazio per depositare gli attrezzi. Altri elementi non sono strettamente necessari, ma concorrono a determinare il successo di un orto. Molti di questi possono essere progettati come spazi comuni. È il caso dei servizi igienici, spesso assenti negli orti pubblici. Può essere utile avere un’area adibita al compostaggio, uno spazio per fare giocare i bambini, alcune zone d’ombra, un’area al coperto per mangiare o ripararsi da improvvisi temporali, un semenzaio dove iniziare a far crescere le piante nei vasi per poi trasportarle nel proprio orto, dei terminali internet per condurre ricerche relative alla coltivazione, o ancora un deposito comune per i mezzi pesanti, magari per smuovere la terra prima della semina e così via. Un buon progetto di orti tiene in considerazione anche ciò che sta fuori dall’orto stesso: i camminamenti, le aree di parcheggio e sosta, i bordi strada. Tutti questi elementi, se progettati adeguatamente, possono trasformare un insieme di orti in uno spazio gradevole per tutti. L’orto è di per sé uno spazio privato, che va salvaguardato (dal transito dei cani, più che dai furti) e viene generalmente recintato. Le recinzioni, che hanno uno scopo preciso e rappresentano al tempo stesso la ‘facciata’ degli orti verso l’esterno, possono diventare un tema di progetto importante. Infine, quando si progetta un orto in una città come Milano, non si può sottovalutare la forte stagionalità. La messa a riposo invernale diventa quindi un ulteriore importante elemento da tenere in grande considerazione in fase di progetto. 
Conosci gli orti di via Chiodi, a Milano?
Sì. Si tratta di un caso estremamente interessante per Milano, con un modello di gestione inedito, dove è il privato a garantire l’offerta pubblica. Dal punto di vista progettuale, gli orti di via Chiodi sono un laboratorio all’aria aperta. Le tre diverse aree che compongono il lotto, realizzate incrementalmente, rappresentano un’evoluzione progettuale che ha tenuto conto degli elementi positivi e delle criticità rilevate di volta in volta. Questo ha ovviamente prodotto una certa disomogeneità, che sommata alla presenza di ombrelloni, gazebo, e arredi gestiti individualmente dagli affittuari, genera un senso di disordine. La caratteristica più interessante degli orti di via Chiodi è la compresenza di diversi gruppi sociali, che si alternano nei diversi momenti della giornata o si mescolano nelle ore di punta, e rendono il complesso orticolo molto vivace. 
Dove possiamo trovare degli esempi validi da seguire?
Gli esempi interessanti di orti urbani si sprecano. Esistono alcuni riferimenti ‘mainstream’ – come i community gardens statunitensi e gli orti di Cuba – che possono fornire spunti interessanti, ma che difficilmente possono essere riproposti a Milano così come sono, per ovvie differenze di contesto. I paesi mediterranei vantano una lunga tradizione di orti urbani. Consiglio a questo proposito la lettura di Campagne Urbane, di Pierre Donadieu. Quanto a esempi concreti, vale la pena di dare un’occhiata alle diverse esperienze raccolte nella rete dei Jardins Familiaux (http://www.jardins-familiaux.org/) europei, ma anche a modelli più lontani e poco studiati. Le cinture urbane delle città russe possono essere esempi interessanti per ripensare al rapporto tra Milano e parco agricolo. Molto interessante è anche un libro intitolato CPULs – Continous and Productive Urban Landscapes, di Andren Viljoen (http://www.energybulletin.net/node/17603). 
Ci sono infine delle curiose realtà, anche qui a Milano, che hanno a mio avviso il potere di sensibilizzare sul tema, come l’iniziativa “Adotta un orto” (http://www.cascinasantabrera.it/adottaorto.html), sostenuta dalla Cascina Santa Brera, che propone la possibilità di raccogliere i frutti del proprio appezzamento di terreno, che è stato però coltivato da persone competenti. La raccolta degli ortaggi diventa così un'occasione di socializzazione. 

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