martedì 28 giugno 2011

Oggi open party in via Chiodi


Growing Power

di Paola Tonizzo

Per contrastare l’inesorabile avanzamento del modello nutrizionale del fast food con un’alimentazione più sana e biologica, Will Allen, ex giocatore di basket, compra nel 1993 un ettaro di terra nella periferia di Milwaukee con l’obiettivo di incentivare la gente del quartiere a diventare agricoltori urbani in un quartiere soffocato dal cemento. Da tale iniziativa nasce l’organizzazione nazionale no-profit Growing Power che, oltre alla diffusione di una corretta nonché sostenibile abitudine alimentare, svolge un’importante mansione sociale dando la possibilità ai giovani di collaborare coltivando il cibo per la loro comunità.
Allen è un precursore dell’”urban gardering” che dagli Stati Uniti si diffonderà poi anche in Europa. Oggi, la sua comunità non è più grande di un piccolo supermercato tuttavia ospita 20.000 specie diverse tra piante, ortaggi, pesci e animali da allevamento. Non dimentichiamo che oltre a essere sano questo cibo coltivato in città è a chilometri zero, il che significa una non indifferente quantità di gas in meno nell’aria.


Architettura idroponica

di Elena Ruzza


L'agricoltura idroponica, o idrocoltura, è un sistema di coltivazione dei vegetali fuori terra che utilizza un substrato inerte del materiale più vario – argilla espansa, fibra di cocco, perlite o lana di roccia – e un'irrigazione a base di acqua e sali minerali. È un sistema che presenta risvolti interessanti da diversi punti di vista. 
Innanzitutto, quello ecologico: l'agricoltura idroponica, a parità di superficie, rende anche venti volte di più di una coltivazione in terra. Ma soprattutto annulla gli sprechi idrici, utilizzando un sistema di irrigazione chiuso che ricicla l'acqua non assorbita dalle piante. Proprio perché non necessita di ampie superfici di terreno, è una pratica che si adatta benissimo alla produzione alimentare direttamente in città, eliminando così l'impatto di CO2 dovuto al trasporto del cibo al consumatore.
Anche la qualità alimentare è un vantaggio di questa tecnica: poter controllare le sostanze nutritive apportate alle piante e la sostituzione del terreno con uno strato asettico si traduce in rese più elevate, piante più rigogliose e riduzione dell'uso di pesticidi.
Il sistema inoltre è tanto semplice ed economico da poter essere autocostruito e installato in casa: è sufficiente una piccola pompa e materiale di recupero come tubi, vasi, bottiglie e bicchieri di plastica, ma  si trova anche sul mercato una vasta gamma di prodotti per la coltivazione idroponica sulle finestre e i balconi delle nostre case.
Tutte queste caratteristiche hanno portato anche la FAO a sperimentare sull'idroponica con il progetto La Huerta Hidroponica Popular per la costituzione di piccoli orti domestici in alcuni contesti disagiati dell'America Latina, che colpiscono per la varietà delle forme e dei materiali utilizzati – tutti rigorosamente di riciclo.
Ma un aspetto estremamente interessante di questa tecnica sta nelle sue potenziali applicazioni architettoniche alle scale più diverse. 
La coltivazione idroponica ben si adatta a essere riprodotta su strutture verticali, ma è possibile realizzarla anche in piano: coperture e facciate verdi aumentano il risparmio energetico e la sostenibilità degli edifici, sia per l'azione dei vegetali sia per la possibilità di utilizzare materiali isolanti come substrato inerte. Forse in futuro serre per la produzione alimentare si integreranno non solo con gli edifici ma col tessuto urbano delle nostre città, come promosso dal Science Barge allestito nel cuore di New York.
L'architetto americano Gordon Graff ha poi portato all'estremo le potenzialità dell'agricoltura idroponica nel progetto di Skyfarm, un grattacielo ad uso residenziale integrato con coltivazioni verticali per 59 piani di altezza, che garantirebbe alimenti per 50.000 persone: forse una provocazione per le sue colossali dimensioni, ma uno studio interessante su come un'architettura possa diventare essa stessa un piccolo ecosistema.  

Associazionismo americano

di Paola Tonizzo

A New York, l’associazione Greenthumb è stata avviata in risposta alla crisi finanziaria negli anni settanta che ha causato l’abbandono dei terreni agricoli sia pubblici che privati. L’organizzazione ha adottato e ristrutturato questi lotti liberi e oggi sostiene il progetto di oltre 600 orti urbani. Sono i residenti del quartiere ora a gestire gli orti, fornendo importanti risorse come gli spazi verdi che incentivano un miglioramento della qualità dell’aria, biodiversità e benessere, una considerevole risorsa per la comunità. Greenthumb organizza workshop con frequenza mensile per favorire la partecipazione civica e per l’organizzazione di comunità tematiche. Oltre a produrre dispense alimentari programma laboratori didattici e feste di quartiere. Gli spazi Greenthumb sono in tutti i quartieri della città, sotto le molteplici forme di spazi relax, zone di incontro o veri e propri allevamenti.
Dati forniti dalla National Gardening Association (Nga) denotano un incremento, dal 2006 al 2007, del 25% delle spese per la coltivazione in proprio. Nel 2008 la spesa è stata di 2 miliardi e mezzo di dollari. 

sabato 11 giugno 2011

Milano, città verde

di Elena Ruzza
Milano coltiva i suoi terrazzi. E' questo lo slogan dell'iniziativa che segnaliamo in corso in questo week-end a Milano, presso l'acquario civico di via viale Gladio 2 (MM2 Lanza).
Dagli orti sui balconi a una riflessione più generale sull'agricoltura in città attraverso i temi della sostenibilità, del paesaggio, del design e arredo urbano, della qualità alimentare.
Partecipano agronomi, designers, architetti, imprenditori e associazioni locali che da anni lavorano nell'ambito dell'agricoltura urbana, come il Giardino degli Aromi dell'ex paolo Pini.
Laboratori, mostre, conferenze, lezioni e altro ancora sabato e domenica dalle 10,00 alle 17,30. Il programma dettagliato è consultabile sul sito di Green Urbanity.


martedì 7 giugno 2011

Caro diario

di Marika Carbone e Serena Carizzoni

Ed eccoci qui. Un altro lunedì mattina passato negli orti di via Chiodi. È proprio una bella esperienza, uscire dal Politecnico per andare a fare lezione al sito di progetto, anche se, ancora, di realmente costruito non c’è niente. Stamattina abbiamo portato le pale per sistemare il terreno della nostra aula all’aperto e per smuovere il terreno dell’orto. Non sono però le uniche cose che faremo, infatti, dovremo anche piantare dei semi per incominciare a far cresce il nostro orto.

H.11.00
Ci siamo tutti e finalmente possiamo iniziare.
La lezione, questa mattina, è tenuta dal Prof. Ferrante, esperto agronomo e professore all’Università Statale di Agraria.
Ha portato con sé: tre contenitori aventi tanti piccoli vuoti, un sacco pieno di terreno umido e delle buste con i semi da piantare. Che efficienza!
Nelle buste i semi sono di carote, diversi tipi di insalata e due diversi tipi di pomodoro.
Quello che dobbiamo fare è coprire i buchi con il terreno nella busta ma non riempirli del tutto, poi mettere un seme per ogni spazio e ricoprirlo con un velo di terreno per farlo germogliare.
Dovremo venire a bagnarli tutti i giorni.
Intanto che un gruppo fa questo lavoro, un altro si sta occupando della sistemazione del terreno dell’aula.
Sarà bellissima quando vedremo tutto finito! Sarà anche riconoscibile da fuori la nostra aula grazie alla copertura diversa da tutte le altre.
Finito di seminare nelle vaschette le abbiamo bagnate e messe a ridosso della siepe, pronti per occuparci tutti insieme del terreno dell’aula, dove abbiamo deciso di lasciare due piante e di togliere tutto il resto.
Il sole di oggi è veramente caldo e qui fa veramente caldo ho assolutamente bisogno di un po’ d’ombra.

H.12.30/13.00
Pausa pranzo.
Finalmente ci sediamo sul prato sotto l’ombra di un bellissimo ciliegio.
Che caldo!

H.14.30
Pausa pranzo finita. Il ritrovo è nell’orto.
Il lavoro che bisogna fare nell’orto è molto semplice, per oggi dobbiamo solo smuovere il terreno.
Prima di iniziare abbiamo una piccola introduzione tenuta sempre dal Prof. Ferrante, che ci spiega che per poter piantare in un terreno che non è mai stato usato bisogna smuoverlo. Questo per fargli prendere aria e dargli il tempo di riprende un po’ di sostanze nutritive che aveva perso.
Iniziamo tutti a dare una mano, anche se incominciamo a risentire, tutti, della giornata sotto il sole.
Necessitiamo di un posto all’ombra!
Il lavoro è molto pesante e il terreno è molto compatto. Si fa molta fatica a rigirarlo.
Ma siamo veramente in tanti e con l’aiuto di tutto riusciamo a portare a termine il lavoro!
Abbiamo finalmente finito!
Per oggi non c’è più niente da fare.

Il lavoro durante la settimana è innaffiare i semi piantati oggi, poi ci sono due gruppi uno che deve pensare alla struttura della copertura e l’altro che deve sistemare il terreno dell’aula.

Alla prossima settimana quindi!

lunedì 6 giugno 2011

Videointervista a Claudio Cristofani


di Elena Ruzza

Il proprietario del complesso di orti di via Chiodi, l'architetto Claudio Cristofani, spiega le ragioni che sono alla base  della sua iniziativa. In questa breve intervista si toccano diversi temi, come la ricerca di forme di utilizzo del territorio alternative all'ormai insostenibile saturazione edilizia e la necessità sociale di servizi che non diventino ghetti riservati a categorie deboli, come gli anziani e le famiglie a reddito più basso. Queste immagini non rappresentano la soluzione ai problemi della qualità della vita all'interno delle nostre città ma offrono un utile spunto di riflessione per l'urgente ridefinizione del nostro rapporto con la natura.

Segnaletica Ortincorso online


Il gruppo di redazione che cura questo blog ha sintetizzato in una presentazione consultabile online il lavoro fin ora affrontato all'interno del corso Costruire naturale del Politecnico di Milano. Tra i temi raccolti trovate l'analisi del contesto degli orti di via Chiodi, il reportage delle attività sul campo da parte degli studenti del corso e in particolare le proposte di comunicazione del progetto, dal logo alla segnaletica alle installazioni in loco. 

martedì 31 maggio 2011

L'orto è un giardino

Gruppo 2 (Marika Carbone, Serena Carizzoni)


Le leggi della semplicità

di John Maeda, graphic designer, artista visivo e teorico dell’informatica, docente di Media Arts Sciences al Massachusetts Institute of Technology.
(Le leggi della semplicità, Bruno Mondadori, 2006).

1
RIDUCI
Il modo più semplice per conseguire la semplicità è attraverso una riduzione ragionata.

2
ORGANIZZA
L’organizzazione fa sì che un sistema composto da molti elementi appaia costituito da pochi.

3
TEMPO
I risparmi di tempo somigliano alla semplicità.

4
IMPARA
La conoscenza rende tutto più semplice.

5
DIFFERENZE
La semplicità e la complessità sono necessarie una all’altra.

6
CONTESTO
Ciò che sta alla periferia della semplicità non è assolutamente periferico.

7
EMOZIONE
Meglio emozioni in più piuttosto che in meno.

8
FIDUCIA
Noi crediamo nella semplicità.

9
FALLIMENTO
Ci sono cose che non è possibile semplificare.

10
L’UNICA
Semplicità è: sottrarre l’ovvio e aggiungere il significativo.


lunedì 30 maggio 2011

Copertura autoportante

Gruppo 1 (Davide Radogna, Enrico Simoni)




Geo design - 2a+p

di Paola Tonizzo

Segnalo il progetto dello studio di architettura di Roma 2A+P, sviluppato nell’ambito dell’ iniziativa “Torino World Design Capital 2008”. Si tratta della progettazione di orti urbani alla Falchera, storico quartiere popolare alla periferia nord di Torino. L’iniziativa è nata per migliorare l’aspetto degli orti di questo quartiere, già presenti dagli anni ’50 e oggi visti, a causa dell’aspetto trasandato, come elementi di degrado. 2A+P propone modalità di organizzazione degli orti e meccanismi per agevolarne l’uso e la diffusione. Nel progetto è presente anche una parte dedicata alla memoria della tradizione, una raccolta di conoscenze agricole e delle coltivazioni diffuse sul territorio torinese. 



I giardini temporanei di Prinzessinnengarten, Berlino





di Cristina Nogara


A pochi metri dalle rotonde nel traffico della Moritzplatz, e lungo gli ingressi del Prinzessinnengarten, vengono coltivate verdure fresche. Robert Shaw e Marco Clausen, della compagnia no-profit Nomadisch Gruen (verde nomade), coltivano vegetali con standard biologici su un terreno di 6000 metri quadri. Un anno fa la zona era un’area dismessa piena di spazzatura. Oggi vi fioriscono zucche, patate, radici e anche un nuovo spirito comunitario. 


I due fondatori poterono contare sull’attivo supporto dei loro vicini. Robert Shaw dice: “Noi abbiamo creato il contesto di questo posto. Sono le molte e diverse persone che si occupano di piantare, annaffiare e diserbare (e che si incontrano al caffè del giardino) che fatto rinascere questo luogo.”
Un luogo di incontro e di scambio per i giovani, per le scolaresche in visita e per gli orticoltori, e anche di integrazione, per gli immigrati. Le donne provenienti dalla Russia e dalla Turchia sono delle esperte orticoltrici ed è da loro che Robert Shaw, coltivatore autodidatta, ha ricevuto i migliori suggerimenti. 


Tutti possono raccogliere e comprare prodotti ortofrutticoli al Prinzessinnengarten e le persone che danno un mano in modo regolare possono acquistare a prezzi di convenienza. Ma, a differenza che nei tradizionali orti tedeschi, qui non vi sono appezzamenti individuali. L'unica eccezione è per i bambini in età scolare e prescolare che coltivano e curano il proprio orto dal dissodamento fino al raccolto. Tutti possono raccogliere e comprare prodotti ortofrutticoli al Prinzessinnengarten e le persone che danno un mano in modo regolare possono acquistare a prezzi di convenienza. Ma, a differenza che nei tradizionali orti tedeschi, qui non vi sono appezzamenti individuali. L'unica eccezione è per i bambini in età scolare e prescolare che coltivano e curano il proprio orto dal dissodamento fino al raccolto. 




Il Prinzessinnengarten differisce dal suo modello ispiratore in un punto fondamentale: le aiuole sono trasportabili. La verdura cresce nei contenitori del pane di plastica in disuso, le patate spuntano in sacchi di riso, le erbe aromatiche in vecchi cartoni del latte. Questo metodo di coltivazione rende l’orticultura indipendente dalla qualità del suolo e l’orto urbano rimane mobile. Dopotutto, l’oasi di Moritzplatz è un giardino temporaneo poiché, quando un giorno il Berlin Liegenshaftsfonds (proprietario del terreno) venderà il sito, gli agricoltori  dovranno andarsene. Grazie alla concezione del Nomadisch Gruen la ricollocazione non dovrebbe essere un problema. È una forma di agricoltura che funziona anche sui tetti delle case, nei parcheggi e nei terreni che, per varie ragioni, sono temporaneamente abbandonati.

mercoledì 25 maggio 2011

Ombra



Fervono i lavori sulla copertura dell'aula aperto e finalmente il sistema di teli da agganciare alla struttura in bamboo prende forma.
Un' approfondita analisi delle nostre esigenze e delle caratteristiche delle diverse proposte, ci ha portato a scegliere un sistema di teli di cotone che possono essere tesi o arrotolati grazie a un sistema di ganci elastici.

Lunedi il primo dei 5 teli in cotone bianchi e' stato attaccato e collaudato, per cui adesso si procede con gli altri.
Al più presto l'opera sarà completata e avremo finalemente un po' di tregua dal solleone!

domenica 22 maggio 2011

Un giardino in ogni buca

di Aliona Bulicanu

“Se piantassimo dei fiori in ogni buca, sarebbe come trasformare la strada in un prato” dice Pete Dungey, studente all'università di Brighton.
“Il mio scopo era fare qualcosa che potesse attirare l'attenzione e al contempo aumentare la consapevolezza dei problemi odierni. Ho piantato fiori per quindici giorni e la parte migliore di questi interventi è veder crescere il mio lavoro.''



Giardini pensierosi e portatili

di Aliona Bulicanu


Gli studenti della scuola di architettura di Ascoli Piceno ogni anno scelgono uno spazio su cui progettano un allestimento temporaneo. Minimi elementi costruttivi per entrare in relazione con il verde esistente. Il Giardino pensieroso portatile è stato realizzato nel 2010 e prevede circa 90 giardini contenuti in borse di tela cerata, irrigidite con strutture di canne o con scatole di cartone. In ogni giardino è infisso un bastoncino in legno con una striscia di acetato satinato su cui è scritto un pensiero inedito, o una citazione, sul tema del paesaggio. Il Giardino portatile è un giardino povero, autogestito, mutevole, trasportabile in tempi e luoghi diversi, inseribile nei contesti duri e formali della città. È un'azione contro la cultura decorativa dei vasi, vasetti, aiuole e altri geometrici recinti dove il verde assume il valore di puro sfondo, come un quadro urbano, che pare negare le carateristiche dinamiche e mobili delle piante.

venerdì 20 maggio 2011

mercoledì 18 maggio 2011

BMW Guggenheim Lab di Atelier Bow-Wow, quando le aule all'aperto possono essere strumento per migliorare la città

di Alessandro Altini




BMW Guggenheim Lab è un laboratorio mobile che si recherà in nove principali città del mondo in sei anni con il compito di affrontare vari temi della vita urbana attraverso programmi gratuiti e partecipazione del pubblico. Il progetto prende il via ufficialmente 3 agosto 2011 a New York con un impianto situato su un terreno abbandonato nell'East Village e progettato da Atelier Bow Wow; la struttura mobile ospiterà una serie di eventi e programmi volti a rendere più vivibile la città prima di trasferirsi a Berlino nel 2012 e successivamente in Asia.

Atelier Bow-Wow ha soprannominato il proprio progetto "cassetta degli attrezzi da viaggio", il concept è quello di una struttura in fibra di carbonio, a richiamo del know-how del partner BMW, che sorregge un loft a cielo aperto la cui metà inferiore è ispirata allo spazio di una loggia che sarà tenuta aperta la maggior parte del tempo e sarà sede di workshop con tavoli per esperimenti pratici; la parte superiore è avvolta da una pelle semitrasparente e sarà la sede di un sistema flessibile di mezzi meccani semoventi che modificheranno la percezione globale dello spazio, come in una scenografia teatrale, per adattarsi ad una varietà di programmi tra cui conferenze, spettacoli e proiezioni cinematografiche. La trasparenza della struttura permetterà ai visitatori di intravedere le varie performance, osservando anche il funzionamento interno dell'apparecchiatura scenografica che cambierà di volta in volta per rispondere alle esigenze di ogni evento. Nelle vicinanze coesisteranno anche strutture in legno più piccole per ospitare servizi igienici e una caffetteria.

L'interattività non sarà solo per i visitatori della struttura ma verrà estesa anche al web, infatti il Guggenheim Lab ha lanciato un sito web sul quale gli ospiti possono inviare le loro proposte per rendere più confortevole quello spazio. Alla chiusura del laboratorio cittadino, i miglioramenti apportati sul luogo e le strutture satellite saranno mantenuti, trasformando uno spazio inutilizzato della città in un parco pubblico accessibile. Il programma prevede per i primi due anni il tema "come un ambiente urbano può essere reso più rispondente alle esigenze delle persone e come può essere trovato un equilibrio tra comfort individuale/collettivo e il crescente bisogno di rispetto sociale e ambientale".

Purtroppo, al momento attuale, questa ottima idea non sarà programmata per l'Italia; ci si potrebbe domandare come mai si sia persa anche questa opportunità insieme a molte altre che avvengono all'estero nonostante le ricorrenti belle parole (forse troppe) che spesso si sentono in merito ai temi dell'Expo 2015, o forse la risposta sta proprio nel maggior pragmatismo tedesco e americano...

Inserti d'arte applicata

Progetto grafico

Elaborazione del logo e dell'intestazione, studio per la segnaletica,
del gruppo Redazione (Aliona Bulicanu, Cristina Nogara, Elena Ruzza, Paola Tonizzo)




lunedì 16 maggio 2011

Mappa degli orti

La numerazione degli orti necessaria per avviare la ricerca sociologica sul campo, condotta da Stefano Laffi (il Laboratorio orticolo è nell'ultimo lotto in alto a sinistra, l'Aula all'aperto è nel lotto n.32).


Aula all'aperto

 di Elena Ruzza

Proseguono i lavori, in via Chiodi, e tra gli orti sorge ora l'aula all'aperto realizzata dagli studenti del laboratorio "Costruire naturale". 
La struttura, costruita con aste di bambù lunghe circa tre metri intrecciate e legate con corda, è stata progettata per essere leggera, di semplice realizzazione, smontabile e rimontabile.
Una volta realizzati i fori, con l'ausilio di una trivella, 12 tronchi sono stati piantati nel terreno, protetti da uno strato di vernice bituminosa, a sorreggere la copertura. Questa è costituita da tre archi di travi intrecciate con la tecnica del ponte autoportante sperimentato la prima volta da Leonardo da Vinci. Per conferire maggiore stabilità alla struttura sono stati infine inseriti dei tiranti. 



martedì 10 maggio 2011

Studio della segnaletica degli orti di via Chiodi

gruppo Redazione (Aliona Bulicanu, Cristina Nogara, Elena Ruzza, Paola Tonizzo)

Sergio Sabbadini, "Aule all'aperto"



















Lezione sul campo di Sergio Sabbadini, esperto di bioarchitettura ed esploratore di quel vasto territorio che chiamiamo ambiente e che, dall'architettura, confina e sconfina nell'agricoltura e nel paesaggio, ma anche nelle nuove forme di didattica e nell'ecologia dei rapporti umani.
Ha presentato il suo libro "Aule verdi all'aperto" in cui racconta una lunga esperienza di architettura partecipata condotta all'interno di una scuola elementare di Concorezzo (Monza).

mercoledì 4 maggio 2011

Archeortologia

Reportage 1
di Stefano Laffi

Abbiamo iniziato l'esperienza didattica dell'orto urbano e abbiamo capito una cosa. Dissodare è come fare uno scavo archeologico, quando è la prima volta e sei un po' al confine del campo, quando smuovi la terra scopri di tutto, pale e vanghe sbattono contro un universo di oggetti sotterranei e affiora l'Atlandide della periferia milanese. Chi c'era sotto di noi, ovvero che cosa era successo prima di noi?
A memoria, tralasciando i reperti più simili all'immondizia indistinguibile: un cartellino con la scritta peperoni gialli, diversi residui di plastica nera che fanno pensare ai vasi delle piantine appena comprate, un paio di fili verdi di plastica tipo stenditoio forse utilizzate per sostenere piante in crescita, alcuni cocci di vetro, tre lattine di cocacola ma soprattutto mattoni e sassi e fra questi il Sasso, un masso non ancora estratto del tutto e quindi non identificabile nella sua forma, ma certo più pesante di un uomo.
Insomma non proprio il paradiso perduto o le mitiche terre fertili del Nilo, ma non è più eroica e degna la natura in città, nella sua lotta per la vita?


Il Sasso, un masso non ancora estratto del tutto.

Quando il lunedì è sostenibile

di Elena Ruzza

I Lunedì sostenibili sono una serata al mese, a Milano, dedicata al verde e alla socialità. Un lunedì sera in cui associazioni e persone che si occupano di verde urbano etico possono conoscersi, presentarsi, illustrare i propri progetti, cercare eventuali sinergie e, tra amici, bere un buon drink o una tisana.
I lunedì sostenibili nascono per lo scambio di opinioni, conoscenze, informazioni, l’intrecciarsi di progetti ed entusiasmi per un sogno comune: città più verdi e vivibili che abbiano la bio-diversità, la stabilità e la flessibilità degli ecosistemi naturali. Città multiculturali con parchi agricoli, energia pulita, bio-architettura, tetti ricoperti di orti/giardini. Città dove ritrovare il contatto con i ritmi e i cicli della natura: il tempo della fioritura, della maturazione, della raccolta. Il ricco e pacato tempo degli orti.
Sul sito si trovano il programma dei prossimi incontri e l'archivio degli argomenti trattati dal 2008 ad oggi.

Orti in corso in via Chiodi

di Elena Ruzza

ORTINCORSO è un tema di progetto, un lavoro progressivo, un esperimento. 
Nasce all'interno del corso "Costruire naturale" della facoltà di Architettura Ambientale e prende atto della realtà diffusa degli orti nelle nostre città, di come siano una necessità e una risorsa ancora tutta da valorizzare. 
Inizia dopo due mesi di studio sulla pratica dell'agricoltura urbana, di indagine negli orti di via Chiodi, di proposte per la progettazione in questa dimensione a metà tra la città e la campagna, tra lo spontaneo e l'organizzato, tra il verde e il costruito. 
ORTINCORSO vedrà alcuni studenti di architettura e i loro docenti all'opera nella progettazione e nella realizzazione di due spazi all'interno del complesso di via Chiodi, un orto seminato e coltivato con la guida di un agronomo dell'università di Milano, e un'aula all'aperto progettata e costruita dagli stessi studenti. 
Ad oggi, il terreno dell'orto è stato zappato e dissodato e sono già seminati pomodori, basilico, lattuga e carote.
Per quanto riguarda l'aula, in questi giorni il terreno su cui verrà realizzata è stato accuratamente ripulito e battuto, e sono state trasportate in loco le travi in bambù per la costruzione della copertura che inizierà a breve!


martedì 19 aprile 2011

ortincittà. architettura open air

Il 18 aprile inizia l'esercizio sul campo, cioè l'attività architettonica e agricola in due orti urbani di via Chiodi, a Milano. Con grande emozione si sfoderano zappe e vanghe e si inizia a dissodare il terreno che è molto compatto, sassoso, pieno di detriti.
Il quarto da sinistra è Antonio Ferrante, agronomo dell'Università di Milano, l'esperto che guida il nostro orto didattico.



sabato 16 aprile 2011

Inizio lavori in via Chiodi


[]
Lunedì, dalle ore 10,00, il laboratorio di progettazione lascia l'aula e si trasferisce nell'orto messo a disposizione dall'arch. Claudio Cristofani in via Chiodi, a Milano. Nelle prossime settimane Orti urbani seguirà da vicino questa esperienza sul campo.  


venerdì 15 aprile 2011

Un orto può essere architettura?

di Alessandro Altini


Padiglione 2011 della Serpentine Gallery di Londra
(Peter Zumthor - Piet Oudolf)



L'idea comune porta a credere che un orto urbano sia uno spazio ritagliato tra palazzi e infrastrutture, disordinato, ricco di materiali, senza una logica reale apparente; spesso è nascosto, inaccessibile e, a maggior ragione se abusivo, poco identificabile ai normali tragitti che le masse compiono in città.



Peter Zumthor, per il progetto di allestimento della Serpentine Gallery 2011 di Londra, rielabora il concetto di orto applicandone i propri principi; l'estetica e la scelta dei materiali sono finalizzati ad aumentare l'esperienza emotiva di questo spazio verde nel cuore di Londra.
Allo stesso tempo, un orto in città può essere considerato un luogo d'evasione, di riflessione e quindi non per forza deve avere quel carattere produttivo, collegato alla coltivazione di ortaggi; credo che anche curare un giardino, delle piante o dei fiori possa essere un ulteriore possibile utilizzo di questi spazi; agli orti urbani che si vedono nelle nostre città manca l'unicità e il percorso buio contemplativo che Zumthor antepone al giardino, come a voler preparare i visitatori ad una introspezione personale. L'analogia non manca invece se si considera la sfera personale, sociale che si ritrova nella parte chiusa, l'hortus conclusus vero e proprio, un luogo di estraneazione dalla città, nell'allestimento separato da alte pareti scure e, negli orti tradizionali, semplicemente rappresentato dai sentimenti personali che si hanno estraniandosi dal contesto urbano per pochi minuti al giorno durante la coltivazione del proprio orto.
Zumthor, oltre che della sua esperienza architettonica, si avvale di un paesaggista famoso, Piet Oudolf, per la scelta compositiva del giardino fiorito, inoltre, c'è da ricordare che si tratta pur sempre di un allestimento museale e non di un orto a pieno campo, nonostante ciò, non solo per i materiali scelti, il suo intervento può essere comunque un buon esempio di utilizzo degli orti urbani, pur non essendone uno.

lunedì 11 aprile 2011

Milano orti urbani, la storia


di Elena Ruzza

Nella storia di Milano città e agricoltura hanno sempre convissuto, anche se con modalità, finalità e valenze diverse a seconda delle varie epoche. Guardare alle forme che hanno assunto gli orti urbani nel tempo ci racconta qualcosa del modo di pensare, vivere e produrre di chi li coltivava.
Risalendo fino al medioevo, i documenti storici dell'epoca dimostrano l'importante presenza di orti attorno alla città, la maggior parte dei quali di proprietà dei monasteri.
Ma è Bonvesin de la Riva, nel 1288, a lasciarci nel De Magnalibus Mediolani una delle prime testimonianze della presenza di orti e frutteti all'interno delle mura della città.
Questi li troviamo poi rappresentati, per la prima volta, nella pianta di Milano disegnata da Lafrery nel 1573, da cui notiamo come si concentrino nell'anello tra le due cinte murarie. Erano ancora proprietà degli ordini monastici e si trattava di “orti recinti da piccoli muri qualche volta privi di qualunque chiusura o, di frequente, definiti da staccionate di pali verticali, un po' distanziati fra loro e legati a pali orizzontali o posti a sostenere intrecciature di fasciami” (da L. Gambi e C. Gozzoli, Milano, 1982). Nel complesso, non dovevano a prima vista apparire molto diversi dalla maggior parte degli orti che incontriamo a Milano oggi.
Cambia l'epoca storica, cambiano gli abitanti della città: nel '700, nella fascia compresa tra le mura si insediano ricche famiglie aristocratiche che acquisiscono le aree ortive. Milano doveva sembrare all'epoca molto diversa e, soprattutto, più verde: veniva descritta ancora nell'Ottocento come “un immenso giardino” (Cantù, Milano storia del popolo e pel popolo, 1871) in cui non mancavano le coltivazioni di frutteti e ortaggi.
Con l'avvento dell'era industriale, l'orto ritorna strumento fondamentale di sussistenza economica per la nuova classe operaia. L'integrazione del salario con la produzione di ortaggi diviene un'attività apertamente sostenuta e incentivata con pubblicazioni e comitati in sostegno degli orti operai. Particolarmente rilevante è l'innovativa iniziativa promossa dall'Istituto per le Case Popolari, che nel 1915 istituisce in periferia i primi orti in affitto per gli inquilini delle sue case.
Tra le due guerre, la retorica fascista dell'autarchia trova negli orti urbani un'importante applicazione pratica che viene portata all'estremo durante la seconda guerra mondiale quando vengono messi a coltura parchi, piazze, viali della città, fino alle aree distrutte dai bombardamenti. Esemplare è la foto scattata nel 1943 che ritrae la mietitura del grano in piazza duomo a Milano, sotto la Repubblica di Salò.
La ricostruzione nel dopoguerra e l'espansione urbana che seguì spingono le coltivazioni sempre più in periferia. Comincia in questo periodo un tendenza che si consoliderà negli anni '80 e che dura tutt'ora: il significato degli orti per i suoi coltivatori è sempre meno legato a ragioni di tipo economico.
I nuovi orticoltori sono i nuovi cittadini milanesi: immigrati dalle campagne in una città sempre meno verde, abitanti di quartieri inospitali privi di spazi aperti e di socializzazione. I nuovi orti sono un tentativo più o meno consapevole di conservare le proprie radici e di contrastare un modello urbano e sociale dominante. Ma questa è storia di oggi.

Cairo, Bucarest, e altri orti



venerdì 8 aprile 2011

Victory Gardens, guerra allo spreco


di Cristina Nogara






An World War II poster depicting an old man 'digging for victory'.
Non siamo in tempo di guerra, sebbene talvolta possa sembrarlo… infiniti articoli sul “credit crunch”, riduzione e aumento vertiginoso dei prezzi del cibo, stanno sollevando una certa ansietà.
Durante la seconda guerra mondiale i britannici crearono i cosiddetti Victory Gardens nelle piazze e nei parchi in tutto il paese. Coltivavano il loro cibo personale in spazi molto stretti e compressi, come risposta alla carenza di cibo dovuta alle restrizioni sull’importazione in tempo di guerra.
L'idea di mangiare cibi di stagione coltivati localmente e biologicamente vale anche per noi, oggi. E nel cuore dello storico St James’s Park è stato creato, da Dig for Victory, un allotment garden per riportare alla memoria il profumo di quei tempi e incoraggiare la gente ad abbracciare l’idea di coltivare per se stessi. Per il secondo anno consecutivo, è stato creato un piccolo allotment garden nello spirito di quelli coltivati in guerra, con un approccio completamente biologico e con l’intento di creare un raccolto con i più alti valori nutritivi.
Era fatto uso di scarti domestici, come contenitori delle uova, rotoli di carta igienica o cornici di vecchie finestre usate come ripari contro il freddo. Tende di rete offrivano protezione dagli uccelli e dal sole deflettendo i raggi lontano dalle piante. Nel 1945 nel Regno Unito venivano coltivati 1.5 milioni di allotments sopperendo al 10% della richiesta di cibo. Per l’approvvigionamento di carne le comunità erano incoraggiate ad allevare il proprio bestiame con l’opportunità di associarsi al club del maiale o del coniglio.
Il riciclaggio nacque come necessità. Con il cambiamento del mondo in cui viviamo, sembra allo stesso modo tornare ad essere un’esigenza.
da Treehugger